di Mario Prignano
Molti Stati africani esportano capitali che, se rientrassero, sanerebbero il loro debito pubblico
Piccolo pro-memoria per no global, terzomondisti e patiti del debito dei Paesi poveri: procurarsi il volumone dell'ultimo "Economie report on Africa 2003" dell’Onu; aprire a pagina 44 e leggere bene. Il titolo, dall'inglese, suona più o meno: "Capitali in fuga -benzina per il debito estero".La notizia, in poche parole, è la seguente: se i soldi che gli africani ricchi tengono nelle banche occidentali rientrassero di colpo nei rispettivi Paesi d'origine, il debito del Continente nero col resto del mondo sarebbe azzerato. Di più. Sarebbe trasformato in credito. E si scoprirebbe che i primi sfruttatori dei bambini africani risiedono proprio in Africa: una realtà di cui nessuno, finora, sembra essersi accorto da questa parte del mondo. Molto più facile condurre campagne del tipo "azzeriamo il debito" o simili, magari condite di marce pacifiste e canzoncine no global in stile Manu Chao. Sono politically correct e rischiano perfino di essere convincenti.Lo studio condotto dalla "Economic Commission for Africa" delle Nazioni Unite prende in esame trenta Paesi. Il dato globale è sconcertante: negli ultimi venti-venticinque anni, i capitali trasferiti all'estero ammontano a 274 miliardi di dollari, una cifra pari al 171 per cento del prodotto interno di quegli stessi Paesi. E superiore di ben 85 miliardi di dollari all'ammontare complessivo del debito che quelle regioni poverissime hanno con i Paesi ricchi del pianeta.«Questo gruppo di Stati», si legge nel rapporto Onu, «risulta essere creditore netto del resto del mondo nel senso che i loro capitali privati detenuti oltre confine eccedono gli stock del debito con l'estero». In media, per ogni dollaro che è entrato, nel giro di un anno 80 centesimi hanno preso il volo «alimentando», scrivono gli esperti del Palazzo di Vetro, «una vasta fuga di capitali a sua volta produttrice di debito» . Insomma, un circolo vizioso inestricabile.In alcuni casi la ricchezza esportata eccede quella prodotta in un intero anno di lavoro del 200 per cento. Basta andare in Nigeria. Dal 1970 al 1996, i capitali volati in Occidente sono ammontati a quasi 130 miliardi di dollari, ossia il 367 per cento del pil: roba che se il tutto rientrasse domani il debito che la Nigeria ha coi Paesi ricchi del mondo diventerebbe un credito di 98 e passa miliardi. Idem per Paesi poverissimi come la Costa d'Avorio (35 miliardi di dollari esportati e un credito "virtuale" di 15), l'Angola (20 miliardi di dollari per un credito di 9), la Repubblica democratica del Congo (quasi 20 miliardi all'estero che trasformerebbero il debito in un credito di 6,3 miliardi). I casi sono numerosi ed eclatanti, come dimostra la tabella riprodotta a lato. La Sierra Leone, ad esempio, il Paese più povero del mondo, risolverebbe di gran lunga i suoi problemi di indebitamento diventando addirittura creditore per un miliardo.Naturalmente non sempre e non in tutti i Paesi i guai finanziari sparirebbero del tutto. Come il Mozambico, ultimamente al centro di una campagna di solidarietà messa in moto dal sindaco di Roma Walter Veltroni, che a luglio scorso ha compiuto un viaggio laggiù. Da esperto della materia, il primo cittadino della Capitale dovrebbe sapere che, in quattordici anni, i ricconi locali hanno impoverito le casse di Maputo per più di 6 miliardi di dollari. Soldi che se rientrassero non risolverebbero completamente i problemi legati al debito estero ma di certo contribuirebbero a farlo scendere. Meglio che niente.Il Burundi, il terzo Paese più povero dell'Africa, detiene nelle banche occidentali poco meno di un miliardo di dollari, il doppio di tutta la ricchezza che i suoi abitanti riescono a produrre in un anno. In questo caso si avrebbe quasi un pareggio, con 700 milioni di crediti da esigere. La misura di quanto questi dati risultino scomodi, la fornisce l'impegno con cui molti uomini simbolo della sinistra impiegano il loro nome e la loro faccia intorno alle varie campagne per la cancellazione del debito. Campagne meritorie, s'intende, ma che forse risulterebbero più credibili se tra i loro obiettivi includessero anche una moral suasion verso i governanti locali dei Paesi poveri per far rientrare i capitali detenuti all'estero.Dopodomani, ad esempio, in Campidoglio a Roma, Veltroni farà gli onori di casa ad un importante convegno dal titolo: "L'Europa e il debito dei Paesi impoveriti". Qualcuno avrà il coraggio di citare i dati dell'"Economie report on Africa 2003"?
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